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Olio di frittura e tossicità

Olio di frittura e tossicità

Olio di frittura e tossicità non sono sinonimi, tutt’altro: la frittura è, infatti, l’indiscussa regina della tavola tutto l’anno, ma specialmente in estate. Il ritorno della bella stagione porta nella gente la voglia di uscire e ritrovare gli amici anche per spuntini golosi all’aperto. Si parla così di street food, per dirla all’anglosassone, ma si esprime in effetti nella più diffusa e golosa tradizione gastronomica “di strada” all’italiana. Si tratta, in altre parole, di fritto, naturalmente, in cartoccio a cono, dolce o salato, misto o in un pezzo unico, ancora caldo e fumante, che con la sua croccante panatura o gustosa pastella è in grado di stuzzicare anche i più resistenti passanti.

Perché l’acroleina rende il fritto tossico

Il fritto è un cibo sano, a patto di utilizzare oli di frittura “freschi”. Purtroppo, l’olio del fritto utilizzato più volte produce una sostanza chimica altamente tossica chiamata acroleina, un’aldeide volatile, epato-tossica ed irritante per tutte le mucose dell’organismo. L’addetto alla frittura, ad esempio, entra a contatto con l’acroleina, dall’odore acre e molto aggressiva per le mucose delle vie respiratorie, occhi, intestino e fegato.

Questa sostanza viene prodotta in grandi quantità quando l’olio viene riscaldato troppo e perciò tocca il punto di fumo (momento in cui l’olio inizia a bruciare): il cibo da friggere viene tuffato in un olio portato a 150-250 gradi e si cuoce a temperature altissime, scoppiettando e dorandosi esternamente. Come effetto del raggiungimento di così elevate temperature si ottiene una serie di cambiamenti nella formula chimica dell’olio, portando per l’appunto alla formazione dell’acroleina, che, a contatto con le componenti del cibo (come per esempio gli aminoacidi o gli amidi), dà vita ad altre sostanze tossiche: dall’unione tra acido aspartico e acroleina si crea l’acrilammide, sostanza che potenzialmente aumenta il rischio di sviluppare il cancro nei consumatori di tutte le fasce d’età.

Il punto di fumo

Ogni tipo di olio ha un suo caratteristico punto di fumo, che può fare la differenza in cottura ed evitare la formazione di acroleina: il punto di fumo dell’olio di oliva è a 245 gradi, quello dell’olio di girasole a 210-245 gradi, quello dell’olio di arachidi a 230 gradi e quello dell’olio di mais a 230 gradi.

Quindi, oltre a conoscere il punto di fumo dell’olio utilizzato, è necessario sapere che gli oli ricavati dalla spremitura a freddo possiedono punti di fumo più bassi rispetto agli oli raffinati.

Inoltre un olio ricco di acidi grassi saturi ha un punto di fumo assolutamente più alto rispetto ad un olio caratterizzato da acidi grassi polinsaturi.

Per quanto riguarda la formazione di acroleina, più il punto di fumo di un olio è alto e maggiore resistenza mostrerà alle alte temperature.

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