
La prima e la seconda ondata di infezione da SARS-COV-2, con i conseguenti provvedimenti restrittivi, hanno monopolizzato l’informazione e hanno messo di fronte alla popolazione italiana una nuova terminologia, mutuata in parte dal mondo scientifico ed in gran parte dal linguaggio anglosassone, che è entrata a far parte del nostro quotidiano. Tuttavia, non è sempre chiaro a tutti il significato di questi nuovi termini ed il loro utilizzo può essere inconsapevolmente inappropriato.
Lessico 2020
Cominciamo, ad esempio, con lockdown, eletta parola dell’anno secondo il Dizionario Collins e già inserito quale neologismo su alcuni vocabolari online di lingua italiana. Letteralmente “isolamento”, si riferisce ad una misura di emergenza che prevede l’impossibilità di entrare e uscire da un determinato luogo o da un’area geografica, ed usato in modo estensivo anche in riferimento ai provvedimenti, quali l’isolamento nelle abitazioni di residenza della popolazione di un intero paese, il conseguente blocco della maggior parte delle attività e dei trasporti, volti a contenere l’emergenza da Sars-Cov-2. Possibili alternative ai termini stranieri potrebbero essere confinamento o segregazione, anche se l’uso prevalente, nella comunicazione italiana di attualità sembra riferirsi piuttosto alla chiusura forzosa degli esercizi commerciali e delle fabbriche, equivalendo a serrata o chiusura obbligatoria o obbligata.
Plateau, che sta per appiattimento della curva epidemica, da non confondere con “epidemiologica”, è utilizzato per spiegare che la curva dei casi positivi ha smesso di crescere esponenzialmente e che si entra in una fase di stabilità: il cosiddetto plateau, appunto.

Picco, punto di culmine dell’epidemia precedente all’appiattimento della curva (plateau) e preannuncio del contenimento della sua progressione, si riferisce alla curva degli infetti o soggetti positivi, e non a quella dei contagiati. Il picco si raggiunge quando gli infetti iniziano a diminuire.
Pandemia, è un’epidemia con tendenza a diffondersi ovunque, cioè a invadere rapidamente vastissimi territori e continenti. Si può realizzare soltanto in presenza di tre fondamentali condizioni: presenza di un agente infettivo in grado di colpire più o meno indistintamente il corpo umano con la stessa rapidità e gravità ovunque agente infettivo altamente virulento in grado di colpire più o meno indistintamente il corpo umano con la stessa rapidità e gravità ovunque, mancanza di immunizzazione specifica nell’uomo e possibilità di trasmissione da uomo a uomo.
Sindemia, al contrario della pandemia, implica una relazione tra più malattie e condizioni ambientali o socio-economiche. L’interagire tra queste patologie e situazioni rafforza e aggrava ciascuna di esse. Richard Horton, direttore dell’autorevole The Lancet, sostiene che “Covid-19 is not a pandemic”, cioè non una pandemia, ma una “sindemia”: è una malattia che uccide quasi sempre persone svantaggiate, perché con redditi bassi e socialmente escluse oppure perché affette da malattie croniche, dovute a fenomeni eliminabili se si rinnovassero le politiche pubbliche su ambiente, salute e istruzione.
Dropplet è l’insieme di goccioline di saliva emesse dalla bocca quando si parla, si starnutisce o si tossisce, la cui grandezza può essere di 5 o più micron, responsabili della trasmissione di agenti patogeni come i virus. Rappresenta per estensione la distanza di sicurezza interpersonale (stimata 1,8 metri circa) da mantenere affinché le goccioline di saliva non arrivino alle persone circostanti. Fino al 2020 si erano registrati alcuni sporadici esempi di plurale in –s, ma ormai vige l’uso della forma singolare.
L’importanza del genere
LA Covid 19: la forma COVID-19 è l’acronimo dell’inglese COronaVIrus Disease 19, cioè ‘malattia da coronavirus (del) 2019’ (anno di identificazione del nuovo virus), denominazione ufficiale che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha attribuito, l’11 febbraio 2020, alla malattia respiratoria infettiva che ha colpito diversi paesi del mondo tra la fine del 2019 e il 2020. La forma COVID-19 è utilizzata prevalentemente al maschile “il Covid”, genere che prevale sull’uso del femminile “la Covid”. L’uso di COVID al maschile non si può considerare grammaticalmente scorretto, anche se deriva da un uso improprio del termine nel significato di ‘coronavirus responsabile della malattia respiratoria COVID-19’. Per questa ragione, sarebbe stata preferibile la forma al femminile, in modo da evitare fraintendimenti e rendere chiara anche attraverso la distinzione di genere grammaticale la distinzione lessicale tra nome del virus (SARS-CoV-2) e nome della malattia (COVID-19).
IL Sars-Cov-2 è l’acronimo dell’inglese Severe Acute Respiratory Syndrome Coronavirus 2, virus appartenente a un gruppo di virus a RNA dall’aspetto simile a una corona, causa di malattie del sistema respiratorio nell’uomo e del sistema respiratorio e gastrointestinale negli animali e responsabile della malattia respiratoria COVID-19. Anche in questo caso l’uso del genere maschile facilita l’associazione dell’acronimo al virus responsabile della malattia. Invece il ricorso al genere femminile lo farebbe erroneamente riferire alla malattia di cui è responsabile.
In definitiva, perché ricorrere più volentieri ad un termine straniero se c’è già in Italiano quella parola che lo indica, per di più con precisione e senza perifrasi? Il problema si può ricondurre ad una specie di questione del “linguaggio politicamente e moralmente corretto in tempi di pandemia”: una parola straniera, di qualunque lingua essa sia, se usata in un altro linguaggio lascia una vaghezza e un’indeterminatezza che non permette di comprenderne a fondo il significato.
Così, nel caso di lockdown, un’espressione non italiana può suonare meno spaventosa del più crudo segregazione.
Tuttavia il termine italianissimo pandemia non spaventa più di epidemia, nella misura in cui la maggior parte degli italiani non coglie affatto il significato greco di “pan-” (πᾶν), che significa “TUTTO”…
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